Galleggianti (AA.VV. Abitare il Deserto, Osservatorio Fotografico, 2016)

Nel mese di marzo di quest’anno ho ricevuto l’invito a partecipare a una selezione fotografica per celebrare i trent’anni dalla pubblicazione di Traversate del deserto, libro pubblicato con il contributo del Comune di Fusignano nel 1986 a compimento di un progetto ideato da Gianni Celati, con la cura per la parte fotografica di Cesare Ballardini, Luigi Ghirri e Giovanni Zaffagnini.

L’invito è stato esteso a diciannove fotografi under 35 di diverse provenienze, dai quali sono poi stati selezionati nove autori con cinque fotografie ciascuno, tra cui il mio progetto, per essere pubblicati nel volume Abitare il deserto edito da Osservatorio Fotografico.

Quando sono stato invitato a partecipare a questa selezione fotografica ho ripreso in mano il libro Traversate del Deserto che avevo a casa nell’edizione originale dell’86. Il libro mi era stato regalato da Guido Guidi nel 2012 e in copertina era pieno di piccole macchie d’umidità e forse non saprei.. di ruggine; lessi nel colophon che in copertina c’era un’opera di Duchamp – Man Ray dal titolo Allevamento di polvere con elaborazione serigrafica di Ottavio Gigliotti, immaginai dunque che non fossero macchie ma la copertina stessa. Solo alcuni anni dopo ho scoperto che al mio libro mancava la sovracopertina e che quelle piccole macchie non potevano che essere un allevamento di polvere naturale dovuto all’invecchiamento del libro; 

Nel marzo di quest’anno sono quindi tornato a rapportarmi con questo libro, con il suo naturale allevamento di polvere e con il suo deserto incorporato e ho pensato ad alcune fotografie che avevo scattato nel giugno del 2013 a Lido di Spina in un periodo di vacanza.
Feci degli scatti al materiale da pesca di mio nonno, pensando che prima o poi si sarebbe perso e che fotografandolo gli avrei allungato un po’ la vita. Lo catalogai quasi tutto, prendendolo dalla cassetta da pesca, una sera prima che tramontasse il sole: ami, esche, piombini e galleggianti. Misi gli oggetti su un panno che usavo in quei giorni per pulirmi le mani quando andavo a pesca, pensando a John Gossage in The Romance Industry. Quel panno mi ha ricordato la copertina vissuta del mio libro Traversate del deserto sul quale si sono depositati e stratificati i segni del tempo.

Ne è nata una sequenza di quasi venti immagini, nella quale ho inserito alcune fotografie delle dune di Lido di Spina e una poesia di Nino Pedretti che mi ha suggerito Michela: Il mondo è una pallina che si increpa. Le dune e questa poesia, luoghi fragili come un gattino sul fondo di un fosso.

Credo che trent’anni fa a mio nonno Walter, che non c’è più e che viveva ad Alfonsine vicino a Fusignano, e aveva comprato una casa per le vacanze a Lido di Spina, sarebbero piaciute queste parole in dialetto che parlano della fragilità del mondo. A lui che ha cacciato e ha pescato ma che parlava sempre con amore sincero con il suo cane e con il suo canarino.

Davide Baldrati, agosto 2016

 

 

 

E’ mond l’è una palìna ch’la s’incrépa

Nu fé cumè in America ch’i dà e’ blètt mi mòrt
parché ch’i faza fighéura te salòt
un gatìn ch’e’mòr sla spònda d’un fòs
l’è la féin d’una stèla.
Un viaz in chèva a e’ mònd
l’è gnént paragòun de paralétich
ch’e’ va da e’ lèt a la scaràna.
Tnémma dacòunt al razi di péss
tnémma dacòunt al mulaighi dla véita.
E’ mònd l’è delichèd,
e’ mònd l’è una palìna ch’la s’incrépa.
Tnémmal lizìr,
tnémmal sla péunta dal dèidi,
néun ch’a sém quéi
ch’u s tòcca muréi.

Il mondo è una pallina che si increpa

Non fate come in America che danno il balletto ai morti
perchè facciano figura nel salotto
un gattino che muore sulla sponda di un fosso
è la fine di una stella.
Un viaggio in capo al mondo
è niente paragonato al paralitico
che va dal letto alla sedia.
Teniamo acconto le razze dei pesci
teniamo accoto le molliche della vita.
Il mondo è delicato,
il mondo è una pallina che si increpa.
Teniamolo leggero,
teniamolo con la punta delle dita,
noi che siamo quelli
che dobbiamo morire.

Nino Pedretti (Santarcangelo di Romagna, 13 agosto 1927 – Rimini, 30 maggio 1981) 1975
Al vòuşi (prefazione di Alfredo Stussi), Edizioni del Girasole, Ravenna

Fotodiagnostik (Danilo Montanari Editore, 2016)

Fotodiagnostik è un cofanetto che contiene dieci fotografie ispirate al test proiettivo elaborato da Hermann Rorschach nel 1921 dal titolo Psychodiagnostik, il così detto “test delle macchie”, utilizzato in psicodiagnostica per l’indagine sulla personalità. Le fotografie sono state scattate al Lago di Antermoia, un lago glaciale che si trova in Val di Fassa nelle Dolomiti Trentine.

Come il test questo lavoro è composto da dieci immagini rispecchiate su un asse di simmetria: nel caso del Rorschach il ribaltamento è dovuto all’inchiostro che, una volta piegato il foglio, forma la figura; nel cofanetto fotografico questo effetto è dovuto al riflettersi delle rocce nell’acqua.

Il primo seme di questo lavoro è stato gettato nel maggio del 2006 quando mi è stato sottoposto il test di Rorschach da colui che poi è divenuto il mio psicoterapeuta. Avendone una copia a casa, comprata da mia madre durante i suoi studi di psicologia, ho potuto continuare a guardare queste tavole anche negli anni seguenti.

Nell’agosto del 2013, sono tornato con Michela in Val di Fassa dove avevo trascorso nella mia infanzia e adolescenza numerosi periodi di vacanza. Nel Lago di Antermoia, guardando attraverso il pozzetto della mia Mamiya 6x7, ho rivisto quelle macchie, questa volta palesate nei riflessi delle rocce nell’acqua. Da quel momento sostare in quel luogo è stato per me un continuo incontro con le figure che lo abitano.

Il Test di Rorschach

l test di Rorschach che viente tuttora utilizzato in ambito clinico, è un importante metodo d’indagine della personalità e identifica uno dei dispositivi scientifici necessari a condurre l’indagine diagnostica. E’ un test a marchio registrato a livello internazionale dalla società Hogrefe AG.

Le sue immagini sono molto diffuse sul web e sono presenti anche in alcuni film e programmi televisivi; questo ha generato un dibattito sulla loro possibile fruizione fuori dall’ambito clinico.

Nel test, le tavole vengono presentate una alla volta all’attenzione dell’individuo al quale, senza limiti di tempo, viene chiesto di esprimere tutto ciò cui la tavola somiglia: non esistono risposte giuste o sbagliate. Per uno psicologo, dall’interpretazione delle risposte date a ciascuna tavola del test di Rorschach è possibile, delineare un profilo di personalità e identificare eventuali nodi problematici, cosa che non è mia intenzione fare in Fotodiagnostik in quanto il parallelismo è esclusivamente da un punto di vista visivo e percettivo.

Il lago di Antermoia

Il lago, che prende il nome dal Massiccio di Antermoia, occupa una depressione sul fondo dell’omonimo vallone glaciale ed è l’unico di una certa importanza nel gruppo del Catinaccio. Il suo livello (2500 m s.l.d.m.) è molto variabile a seconda delle stagioni ma, a differenza di molti laghi carsici della zona, non si prosciuga durante il periodo estivo. L’alimentazione è dovuta in gran parte allo scioglimento delle nevi, le quali possono persistere anche in estate sui fianchi del vallone. Dal 2009 è stato classificato parte di uno dei nove sistemi montuosi che compongono le Dolomiti UNESCO che comprendono una serie di paesaggi montani unici al mondo e di eccezionale interesse geologico e geomorfologico.

Le origini del lago sono state narrate in alcune leggende ladine che trattano di streghe e demoni. Una in particolare racconta di Osvaldo detto Mano di Ferro: un uomo forte e rude che un giorno sentì un suono dolce e soave provenire da dietro un cespuglio, si innamorò della Silfide (figura mitologica femminile) dal nome Antermoia che stava cantando. Chiamandola per nome ruppe l’incantesimo e all’improvviso la creatura scomparve in un pianto che originò il lago. Fino alla prima metà del XX secolo sono molto diffuse nelle Alpi anche storie di draghi. Ad Elmar Lorenz, storico gestore del Rifugio di Antermoia, un cacciatore ha raccontato di aver visto, a primavera inoltrata, il risveglio del drago che aveva provocato nel lago piramidi d’acqua alte anche 5-6 metri. Anche a Elmar e a sua moglie è capitato di vedere questo fenomeno naturale che probabilmente avviene ogni anno e che in realtà è dovuto allo scioglimento del giaccio. Nel lago sono presenti solo un numero molto ridotto di forme di vita planctonica che non rappresentano una fauna ittica ed è assente quasi del tutto il manto vegetale sulle sponde.

A distanza di pochi metri si trova il rifugio Antermoia, la cui costruzione fu promossa nel 1911 dal fotografo Franz Dantone e che ora è gestito dell’alpinista Martin Riz.

Di qua e di là dal fiume (Self-puplishing, 2015)

Ricerca fotografica sul Delta del Po partendo dai borghi rurali di fondazione della Riforma Agraria nell’esperienza di Pierluigi Giordani

Nell’immediato dopoguerra quasi la metà della popolazione italiana viveva esclusivamente di agricoltura. Lo Stato Italiano si occupò del mondo agricolo varando, nel 1950, la Riforma Agraria voluta dall’allora Governo De Gasperi. Furono così identificati otto distinti comprensori nella penisola nei quali vennero costituiti degli Enti con il compito di espropriare, trasformare e assegnare le terre ai contadini.

Nel comprensorio del Delta Padano furono coinvolti 28 comuni tra le provincie di Venezia, Rovigo, Ferrara e Ravenna. In questi territori si sono susseguite a partire dall’Ottocento opere di bonifica fino alla metà degli anni Sessanta del Novecento. I terreni bonificati venivano assegnati in base alla quantificazione di forza lavoro di ogni singola famiglia che, pagando annualmente un canone di riscatto permetteva loro di diventare proprietari della terra che lavoravano nell’arco di trent’anni.

A partire dal 1953 ebbero inizio le prime realizzazioni, con la creazione di un vero e proprio tessuto urbano. Vennero costruiti dall’Ente case, strade, opere idrauliche e i Borghi rurali per garantire i servizi di prima necessità (chiesa, scuola elementare, asilo e circolo di ritrovo) relativi ad una popolazione variabile tra i 1000 e i 1500 abitanti.

La progettazione di alcuni di questi Borghi venne affidata a Pierluigi Giordani che tra il 1954 e il 1963 prese parte alla realizzazione di ben sette complessi: Santa Giustina, Cà Mello, Marchiona, San Romualdo, S. Apollinare, Oca e Corte Cascina. I borghi si svelano al visitatore attraverso un sapiente studio compositivo e alla marcata attenzione per quanto riguarda l’utilizzo dei materiali.

 

Il mio lavoro fotografico parte da questi luoghi di aggregazione, progettati con il chiaro intento di creare un’identità per la collettività che li fruisce e si allarga alla città diffusa circostante fino ad arrivare al mio paese di origine, Savarna, che si trova anch’esso in un’area attraversata da secoli di bonifiche a pochi chilometri dal borgo di San Romualdo nel Comune di Ravenna.

In questi luoghi da bambini e poi da ragazzi quando giocavamo a calcio nei cortili, il pomeriggio dopo la scuola, ci dividevamo in due squadre: quelli di qua contro quelli di là. A separarci era il fiume Lamone che divide Savarna, Grattacoppa e Conventello da Torri. Alcuni mesi fa ho scoperto, leggendo il libro Il Conventello di Sant’Ubaldo di Sauro Ravaioli, che nel territorio ravennate extraurbano fino al secolo XVIII c’erano due regioni che portavano il nome di Savarna: una si chiamava Savarna di qua e l’altra Savarna di là, divise dal corso del fiume.

 

  • Lavoro selezionato per il contributo alla riflessione sui temi della XVIII Conferenza Nazionale degli Urbanisti Italia ’45-’45, con il libro fotografico Di qua e di là dal fiume; indetta dallo IUAV, a cura di Stefano Munarin e Andrea Pertoldeo;
  • Pubblicato sul sito documentary platform;

  • presentato alla Facoltà di Architettura nel Corso di Urbanistica di Valentina Orioli e Enrico Brighi.

Io sono Rummenigge (Osservatorio Fotografico, 2013)

Nel 2012/2013 ho partecipato a “Dove Viviamo”, campagna fotografica promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e dall’Associazione Culturale Osservatorio Fotografico e ho pubblicato come esito della ricerca il quaderno monografico Io sono Rummenigge.

Così nell’estate del 2012 ho iniziato a fotografare i bambini che giocano a calcio nei campetti improvvisati sotto casa del quartiere Gulli di Ravenna. Da un punto di vista visivo e di ambientazione il libro che ne è risultato trae spunto dal graphic novel di Davide Reviati, Morti di sonno, che parla di bambini che negli anni Ottanta giocavano a calcio nel quartiere ANIC di Ravenna tra la comparsa dell’eroina e la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio dell’ 82. Oggi come ieri i quartieri della prima periferia sono abitati da bambini le cui famiglie sono arrivate a Ravenna per motivi di lavoro. Negli anni dell’infanzia di Reviati provenivano da tutt’Italia: Abruzzo, Marche e Lazio oggi arrivano da tutte le parti del Mondo: Africa, Est Europa e Sudamerica. I bambini di tutto il mondo si incontrano nei campetti, nelle piazze e agli angoli delle strade dando vita a un vero dialogo interculturale, partendo dalla semplicità del gioco del calcio.

Il calcio diventa una lingua comune che tutti possono parlare, ognuno emulando il proprio campione preferito, proprio come io e mio fratello anni fa sognavamo di essere Karl-Heinze Rummenigge. In occasione dell’inaugurazione della presentazione del libro abbiamo organizzato una partita in cui ogni bambino ha indossato la maglia del proprio campione.

“Io sono Rummenigge è un racconto per immagini ambientato
a Ravenna nell’estate del 2012, nei campi da calcio
che bambini e ragazzi di tutte le età, liberi dagli impegni della scuola,
inventano negli spazi urbani, qui come in ogni città o villaggio del mondo.”

Silvia Loddo

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